Il gioco del linguaggio by Nick Chater Morten H. Christiansen

Il gioco del linguaggio by Nick Chater Morten H. Christiansen

autore:Nick Chater, Morten H. Christiansen [Chater, Morten H. Christiansen e Nick]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Ponte alle Grazie


Le parole non bastano

Considerare il linguaggio attraverso le lenti dell’evoluzione culturale ci consente di gettare una luce del tutto nuova sull’apprendimento linguistico. Non c’è più bisogno che il linguaggio sia preprogrammato nei geni o preincorporato nel cervello. Tramonta anche l’idea che il bambino sia un linguista in erba, che impara la lingua madre attraverso un apprendimento di tipo N. Abbiamo invece visto come il bambino impari ad essere un utente della lingua seguendo le orme altrui. L’apprendimento di una lingua può avvenire proprio perché il linguaggio è stato modellato dall’evoluzione culturale in modo tale da adattarsi alle capacità di apprendimento C dei bambini. Il bambino non ha bisogno di possedere una «teoria» dell’ordine spontaneo che emerge negli schemi linguistici più di quanto uno stagno, per mostrare i complessi schemi di interferenza fra le increspature della sua superficie, abbia bisogno di possedere una teoria del moto delle onde.

Considerare l’apprendimento linguistico alla stregua di un problema pratico non banalizza però la difficoltà della sfida che ogni bambino affronta per imparare la propria lingua madre. Anzi, mette in luce proprio l’enorme sforzo che ciascuno di noi, per padroneggiarla, deve mettere in campo. Il superbo dominio che i bambini ne conseguono viene da un utilizzo continuo, di decine di migliaia di ore (le duecento ore passate da SF, lo stregone della memoria di cifre casuali di cui abbiamo parlato nel secondo capitolo, a perfezionare le proprie abilità impallidiscono al confronto). Tenersi al passo dei frenetici scambi di cui constano le conversazioni di ogni giorno e strizzare la lingua nello stretto imbuto dell’ora o mai più richiede un enorme esercizio. Facendo la ripetuta esperienza del dialogo, sviluppiamo l’abilità di suddividere rapidamente in chunk gli stimoli in arrivo e, durante la produzione, di associare i chunk secondo la strategia del just-in-time. Quel che serve per imparare una lingua è esercizio, esercizio, esercizio.

In un celebre esperimento del 1995, gli psicologi Betty Hart e Todd Risley si prefissero di misurare la pratica della lingua che i bambini statunitensi fanno a casa e di verificare se questa quantità variasse da famiglia a famiglia a seconda dell’estrazione sociale.14 Un’ora al mese, per un periodo di due anni e mezzo, visitarono a casa loro quarantadue famiglie e registrarono il numero di parole cui i bambini venivano esposti. Estrapolando una stima da questi sondaggi, scoprirono che, al compimento dei quattro anni, i bambini cresciuti in famiglie che vivevano di assistenza pubblica avevano ascoltato in media tredici milioni di parole. Invece, i bambini di famiglie ad alto reddito ne ascoltavano oltre il triplo: quarantacinque milioni. Alla fine del periodo, i figli di famiglie a basso reddito avevano ascoltato trenta milioni di parole in meno rispetto ai coetanei più ricchi.

Hart e Risley si resero conto che si trattava di una differenza importante. Più parole i bambini ascoltavano nei primi quattro anni, più ampio sarebbe stato il loro lessico: i bambini ricchi conoscevano oltre il doppio delle parole rispetto ai più poveri. A causa dell’effetto sul lessico, lo scarto suscitò un notevole allarme e fu ribattezzato il «divario dei trenta milioni di parole».



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